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Immagine del redattoreFlavia Novelli

UniVersi femminili. La poesia come strumento espressivo per sensibilizzare sul tema della parità di genere

Trascrizione dell'intervento tenuto il 17 ottobre 2024 al Seminario Equilibri di Architetture Visibili e Invisibili presso lo Spazio Europa gestito dall'Ufficio in Italia del Parlamento europeo e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea.

A seguire, lettura di poesie tratte da Flavia Novelli, Gen Z (Scriverepoesia edizioni)

Cristina Torres Cáceres, “Se domani non torno” 



Seminario Equilibri di architetture visibili e invisibili

La violenza sulle donne è così radicata nella nostra società che ormai, tranne per i casi più eclatanti, l’attenzione dell’opinione pubblica nemmeno si accende più e le notizie di femminicidi vengono scorte rapidamente e altrettanto prontamente dimenticate dai lettori e dagli ascoltatori di giornali e tg. 

Siamo assuefatti e anestetizzati alla violenza e ormai rassegnati all’idea che queste orrende morti di donne siano un inevitabile tributo da pagare, al pari delle morti per malattie incurabili o per calamità naturali. Ma questo tributo alla società patriarcale in cui siamo immersi e dalla quale siamo modellati dovrebbe invece ricordarci che una società diversa è quantomeno immaginabile.


In questo, anche la poesia può svolgere un ruolo importante. 

Accostare la poesia alla violenza potrebbe apparire un ossimoro, ma la lotta alla discriminazione di genere passa anche attraverso la poesia come espressione e ascolto del vissuto.

La poesia è necessaria, perché il suo valore non è solamente estetico.

Rispetto alle parole troppo asciutte della cronaca e ai tecnicismi degli esperti, il linguaggio poetico può, infatti, riuscire a restituire pienezza e profondità a esperienze che, nella loro tragicità, travalicano il singolo dramma individuale e investono la società tutta. 


La scrittura poetica, in quanto strumento espressivo in grado di comunicare l’inesprimibile, arriva al lettore in modo diretto, con la precisione e l’inarrestabilità di un proiettile che colpisce al cuore o di un pugno allo stomaco, per usare il linguaggio violento della cronaca. 

Questo perché, normalmente, quando ci accingiamo a leggere un testo o un articolo giornalistico, si attivano per prime le funzioni cognitive che ci consentono di comprenderne il contenuto e, solo successivamente, si possono scaturire in noi emozioni dettate dalle riflessioni che quanto letto ha stimolato o dai vissuti esperienziali che ha rievocato. 

Con la poesia, come con l’arte in genere, avviene l’inverso: immediatamente si è investiti da un’emozione, a partire dalla quale si può in seguito attivare un processo di elaborazione e riflessione, allo scopo di comprendere le ragioni per cui quelle parole, che magari ci sono risuonate nella mente per giorni, abbiamo generato un tale effetto. Un po’ come ci succede ad esempio, davanti a un dipinto. 

Del resto fin dall'antichità il legame fra la poesia e la pittura è sempre stato dibattuto.

Per primo fu probabilmente il poeta lirico greco antico Simonide di Ceo (556 a.C.) a sovrapporre pittura e poesia, con un aforisma, giuntoci tramite Plutarco, che suona così: “La pittura è una poesia muta e la poesia una pittura parlante”, dando vita al plurisecolare principio estetico dell’Ut pictura poësis, che sarà in seguito formulato dal poeta latino Orazio (65 a.C.) nella celebre Epistola ai Pisoni, o Ars Poetica. Locuzione che tradotta letteralmente significa "Come nella pittura così nella poesia", come dire quindi che "un quadro è come una poesia" o "la poesia è come un quadro" e che ciò che è in grado di suscitare l’uno lo può suscitare anche l’altra. 


Grazie a tale potere di arrivarci in modo immediato, di scuoterci, di renderci partecipi, la forma poetica può quindi essere molto efficace anche nella narrazione del fenomeno della discriminazione e violenza di genere.


Ovviamente la poesia non ha la pretesa di offrire un’interpretazione del fenomeno, né tantomeno di indicare soluzioni; non è compito della poesia farlo. Ma può dare voce alla sofferenza delle donne, al senso di impotenza, rabbia, smarrimento e muta frustrazione: questo è ciò a cui i versi possono ambire.

Il linguaggio poetico può inoltre intervenire anche concretamente sul territorio, costruendo spazi di convivenza, accettazione e inclusione, attraverso ad esempio dei laboratori in cui, sia donne vittime di violenza, sia poetesse, possano confrontarsi e tramite la poesia riuscire a condividere le proprie esperienze, essendo la poesia una forma di linguaggio anche catartico. Per una donna che ha esperienze di violenza, è importante riuscire a tirar fuori il proprio vissuto, che spesso è difficile da verbalizzare, e in questo la poesia può venire in aiuto perché è un linguaggio che rivela e cela, con misura e delicatezza, consentendoci di soddisfare un bisogno profondo di comunicare, mettendoci però al riparo dalla crudezza di un linguaggio troppo aderente ai fatti.


Copertina Gen Z


Concludo, prendendo in prestito le parole usate dalla poetessa Ilaria Giovinazzo nella prefazione al mio ultimo libro di poesie, Gen Z (Scriverepoesia edizioni) che affronta il tema del disagio psichico e sociale giovanile:

≪I versi ci accompagnano lungo un percorso emotivo che ci scuote e magari ci fa finalmente vedere quanto non avevamo visto prima [o non volevamo vedere]. Attraverso la poesia si può aprire un varco nel buio. Sta poi a noi guardarci dentro e provare a illuminarlo≫.










Corpi di pane


Corpi di pane

impastato con il nostro sangue

lievitato con dolore

nel dolore

Corpi affidati a letti metallici

di ospedali speciali

per evitare che si facciano del male

per evitare che si strappino via

quella crosta di pane

troppo sottile per proteggere

un cuore di mollica

Corpi che fa notizia

contare

catalogare

studiare

Corpi che dopo averli

contati

catalogati

studiati

tornano a esseri invisibili

Resta solo l’odore

di pane bruciato



Copertina UniVersi femminili

Sui nostri corpi

da sempre

si consuma nell’ignavia la bufera

Accogliamo i tuoni e la tempesta

che accompagnano il passaggio

del felino predatore nella foresta

Le sue impronte

sul terreno bagnato

non l’hanno mai consegnato

a un giudizio in appello

La legge della natura

lo assolve da ogni accusa

e condanna la preda

allo stigma della mascolina ragione

Finché i cuccioli saranno allevati

per predare

ci sarà una preda da immolare

Finché ci lasceremo raccontare

come prede da cacciare

non troveremo via d’uscita

dalla foresta



Mille volte hai chiesto aiuto

e non sei stata ascoltata

Mille volte hai urlato

e i vicini hanno alzato il volume del televisore

per soffocare le tue grida

Mille volte i tuoi bambini hanno pianto

con la testa sotto il cuscino

Ora non chiedi più niente

sei muta per sempre

Sei solo un altro numero

su una lunga lista

Un altro paio di scarpe rosse

per commemorare

La tua foto un paio di giorni

sul giornale

Il tuo nome

facile da dimenticare

facile da confondere e mischiare

con quello di chi ti ha preceduta

con quello di chi seguirà

su quest’altare sacrificale



Di peonie

ti vesti i seni

per profumare il cuore

dell’odore dell’amore derubato

da mani esperte di giocoliere

Nel vestito fiorato

indossi la tua malinconica fierezza

Gli sguardi che si posano

sulla stoffa sottile

sono schiaffi che non vuoi più subire

I palmi sudati delle tue mani

scorrono sui morbidi fianchi

per allungare il confine

della veste verso

le ginocchia tese

dai passi veloci e nervosi

che si inerpicano

a dodici centimetri dall’asfalto

Ti sforzi di mantenere lo sguardo alto

dritto verso l’orizzonte

senza esitazione

Ma una perla di sudore

si sfila dal groviglio di capelli

frettolosamente domati

sulla nuca umida e rovente

e come la punta di una lama

percorre l’incavo della schiena

per perdersi

nello sfregamento dei glutei

Per un istante barcolli

sui tacchi rossi

che solo in casa

lui ti faceva indossare

Ti asciughi il collo con la mano

riempi i polmoni

gonfiando le peonie sul tuo petto

E riprendi a camminare



Sfuggevole

Enigmatico

Falsario di sentimenti

Alimentatore professionista

di turbamenti

Vapore acqueo

su specchi appannati

Tracciati di dita

cancellati dalla solita vita

Avanzi

Indietreggi

Ti fermi

Sei stanca

Asciughi lo specchio

Ti osservi

Non sei più la stessa

ma la distanza

si è fatta ormai troppo spessa

Lo specchio deterso riflette

le dita che scorrono bagnate

sulla ferita


Cristina Torres Cáceres, “Se domani non torno” 


Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.

Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare.

Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero (Mara, Micaela, Majo, Mariana).

Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia (Emily, Shirley).

Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata (Luz Marina).

Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli (Arlette).

Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata (Lucia).

Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l’alcool nel sangue.

Ti diranno che era giusto, che ero da sola.

Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.

Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.

Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.

Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto.

Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.

Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai.

Ma, per carità, non legare mia sorella.

Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti.

Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.

Sono loro, saranno sempre loro.

Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.

Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me.

Combatti perché possano urlare più forte di me.

Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io.

Mamma, non piangere le mie ceneri.

Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto.

Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.

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