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Immagine del redattoreFlavia Novelli

Le case non sono solo case


«Niente è più inabitabile di un posto dove siamo stati felici»*.

Negli anni ne ho compreso il senso.

Negli anni che mi hanno sradicata dai luoghi amati, felici.

Luoghi in cui tornare è un insopportabile ricordare.

La casa in cui sono nata e vissuta, venduta perché impossibile da abitare, senza dolorosamente rivivere un passato che non può ritornare.

Impossibile da coltivarvi una nuova vita, quando ogni tacca incisa sullo stipite di una porta ti ricorda le radici che ti hanno nutrita e cresciuta.

Ho rinunciato alla casa che amavo e che consideravo destinata a essere il mio rifugio per sempre. L’ho fatto per un sano ma tormentato spirito di sopravvivenza, consapevole di non poter essere adulta, di non poter essere essere madre, in una casa dove sarei per sempre stata ingabbiata nel ruolo di figlia, di figlia orfana.

Le case non sono solo case.

La casa in cui sei nata, cresciuta e vissuta è la tua famiglia, la tua memoria, la tua vita. Abbandonarla è una sana rivoluzione quando l’affronti la prima volta per cercare un’altra casa che accolga la tua nuova vita da essere adulto, autonomo, indipendente, sapendo però che comunque lei è sempre lì, pronta a riabbracciarti, a farti riassaporare il calore di quella tua prima vita in cui ti sei nutrita di amore e protezione.

Abbandonarla quando è ormai un guscio vuoto è un atto di resilienza. Forse è anche un atto di vigliaccheria, che rivela un’incapacità di di staccarsi dal passato, di reinventarlo per indossarlo con una più consapevole maturità, ma la maturità ha poco a che fare con la fragilità dei sentimenti. Tante volte ho fantasticato sul nuovo aspetto che una radicale ristrutturazione avrebbe potuto regalarle: muri demoliti, arredi rinnovati… ma la vecchia casa, lo percepivo, sarebbe sempre sopravvissuta. Il grande terrazzo su cui io pattinavo, mio fratello giocava a tennis e mia madre prendeva il sole sarebbe riapparso alla prima distrazione, così come la cucina con la poltroncina in cui sedeva mio padre quando guardavamo vecchi film alla tv, io e lui da soli, fino a sera tardi. La mia camera da letto non sarebbe mai riuscita a diventare quella di mia figlia; sarebbe sempre rimasta la mia, quella in cui giocavo, studiavo, amavo i miei primi amori. E la porta d’ingresso… come entrare e uscire con disinvoltura da quella porta da cui entravano e uscivano mio padre e mia madre? Le case sono spugne assorbenti che puoi spremere all’infinito senza riuscire a svuotarle del loro denso contenuto. Un contenuto che riusciranno a non vedere solo nuovi ospiti, nuovi proprietari, che in quella casa potranno costruire altre vite, altri ricordi.


La mia casa è stata adottata da una giovane coppia che vi costruirà il suo futuro. Io non ho avuto la forza e il coraggio di andare a vedere come l’hanno trasformata. Per me lei resterà sempre come è stata. Resterà sempre abitata dai mia madre, mio padre, mio fratello e da me. Anni di vita congelati nel tempo.


Perché le case non sono solo case e niente è più inabitabile di un posto dove siamo stati felici.



* Cesare Pavese

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