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  • Immagine del redattoreFlavia Novelli

Lisa ed Ermete

Sempre più spesso, da quando non ci sono più, sogno mio padre e mia madre, di nuovo insieme. Mi piace immaginare che si siano ritrovati, in qualche posto che non saprei definire. Non essendo credente e non avendo fede, la mia è solo una fantasia dettata dall’amore. A proposito di amore, il loro è stato uno di quelli d’altri tempi. Tempi in cui non c’erano i telefoni, le e mail e WhatsApp e le distanze erano veramente lontananza. Perché i miei si conobbero in un paesino del Friuli, dove mio padre “scontava” il servizio di leva e mia madre era una giovane maestrina che insegnava ai militari per consentire loro di prendere la licenza elementare. Mio padre non era suo alunno, lui aveva studiato, ma si premurava ogni mattina di portare la legna e accendere la stufa per far trovare a mia madre l’aula riscaldata. Mio padre era davvero bellissimo e posso immaginare come mia madre si sia sentita lusingata da tali attenzioni.

Il loro primo appuntamento fu un giro con la lambretta di mia madre, verso il confine con l’Austria, con la neve. Me lo hanno raccontato tante volte e mi sembra di vederli, giovani, innamorati e infreddoliti. Li immagino in bianco e nero, perché tutte le cose del passato non riesco a pensarle a colori. Quando mio padre tornò a Roma, per lungo tempo il loro rapporto fu quasi esclusivamente epistolare. Ogni tanto c’era una telefonata ma, mi raccontavano, era una cosa che andava organizzata per tempo: ci si doveva dare un appuntamento presso, se non ricordo male, due uffici postali e si potevano aspettare anche ore. Eppure il loro amore è andato avanti per anni così, prima che mia madre non gli proponesse di sposarsi. Aveva vinto un concorso per entrare di ruolo e sposandosi avrebbe avuto la possibilità di ottenere la cattedra a Roma. Si sposarono una mattina di febbraio con la neve, in Friuli, mia madre con un tailleur color panna e sopra un cappotto con il collo di pelliccia, i due testimoni e i miei nonni. Andarono in viaggio di nozze a Venezia e di ciò ricordo una loro foto, sulla piazza con i piccioni. Ricordo anche, perché me lo hanno raccontato, che mio padre dimenticò la fede sul lavandino del bagno del treno; fortunatamente la ritrovò, ma da quella volta non la indossò più.

Mio padre era orfano, cresciuto al Don Orione; era poeta, pittore ed attore. Per amore e senso di responsabilità, quando nascemmo mio fratello ed io, rinunciò alle sue ambizioni; fece il concorso da insegnante e anche lui divenne maestro. Non l’ho mai, dico mai, sentito lamentarsi o rinfacciare la sua scelta.

A casa, da qualche parte ci deve essere una scatola con tutte le lettere che si sono scritte. Mia madre le ha sempre conservate. Una volta me le ha fatte vedere, legate con un nastro blu, ma non ha mai voluto che le leggessi. Mi disse che le avremmo potute leggere solo quando loro non ci sarebbero stati più. Mio padre è morto in un giorno di pioggia del 2003 a 71 anni, mia madre a novembre 2016, a 77 anni, anche lei con la pioggia. Penso a quelle lettere: ho desiderio di trovarle e timore a leggerle. Darei qualsiasi cosa perché fossero ancora qui. Ma se sapessi che esiste un posto dove stanno girando felici con la lambretta smetterei di piangerli.


Pubblicato il 21 febbraio 2020 su Il clan delle femmine



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